Pasquale Guastamacchia
Pasquale Guastamacchia nasce a Terlizzi nel 1949 ed è docente incaricato a tempo indeterminato di discipline plastiche.
Ha conseguito il titolo di scultore presso l'Accademia delle Belle Arti ROMA sotto la guida del prof Venanzo Crocetti.
Ha partecipato a molte mostre, personali e collettive, ha partecipato e vinto concorsi nazionali indetti dallo stato per opere pubbliche plastiche e pittoriche per le città di Velletri, Frosinone, Viterbo, Lecce.
Frammento di cielo, quello che aruspici e veggenti si ritagliavano, a braccia levate, col bastone, incorniciando e dando un senso a ciò che per gli altri era il nulla. Un gesto impensabile.
Soprattutto in un'epoca come l'attuale dove rappresentare il "tutto pieno" di figure perennemente votate ad emergere e a consumarsi è diventato un obbligo, ed evocare non si può.
Così se guardi alla razionalità dei cieli che Pasquale Guastamacchia dipinge ti sorprende questa residua sensibilità per il "solo potenziale", per una scena appena enunciata, per uno spazio liberamente possibile. Ti ritrovi, ad esempio, davanti a questo azzurro ripetuto che non è mai vaghezza ma precisione, esattezza stranamente emanata, chiarezza di intenti.
Tutto un continuo misurare di arabeschi spezzati e graffi gettati da un capo all'altro del dipinto.
La visionarietà di Guastamacchia è spoglia, scabra, senza orpelli, propende verso zone fantastiche ma sottratte a simboli, allegorie e destini.
Immemoriale ed elementare appare questa insistenza su linee d'orizzonte, profili di terra, paesaggi come visti all'alba del mondo.
Un impianto compositivo che a dirlo sembra semplice, ma che poi si complica con campiture gettate allo sbaraglio, trafitte, prese in una singolare contesa tra caos e lembi d'ordine superstite in cui la forma, riemergendo,accenna di nuovo a geometrie.
Sembrano agire insieme il principio di estensione, della dilatazione e quello della concentrazione di una assoluta parsimonia.
E' adesso che ti accorgi della bellezza ,della pulizia e dell' agilità, del segno di Guastamacchia.
Una scrittura indecifrata per la quale non c'è mai abbandono, deriva, negligenza.
Composizioni aperte, flessibili, che "contengono l'aria".
Al di fuori di questo pare che questo pittore avverta solo il regno della pesantezza, dell'inerzia.
In fondo così restano nella memoria questi quadri, appunto come una continua lotta contro l'inerzia, l'opacità, l'ingombro di tutta la materia che, fatalmente, cade.